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SU DI ME.
Che dire?

Sono colui che, in un momento x della vostra vita, che solo voi sapete quale e come sia, vi si piazza davanti, con una macchina fotografica in mano, credendosi in diritto di farvi un RITRATTO, a volte a voi in persona, a volte a parti fondamentali, se non intime, della vostra vita, come il vostro lavoro, la vostra famiglia, i vostri momenti importanti.
Pensate un po’ che arroganza.
E così, per cercare di scrostarmi un po’ di dosso questa veste che non sento mia, vi presento con molta semplicità Marco: me stesso al vostro cospetto.

Marco ama il gelato (ma solo con sopra la panna montata), gli scarponi da trekking dai colori sgargianti, le sciarpe enormi formato tovaglia; Marco odia i rivoletti di sudore lungo la schiena, odia ballare (con grande rammarico della moglie), odia i bottoni allentati e quella loro sensazione di precarietà esistenziale, Marco odia il baccalà.
Ma, a costo di essere prosaico, Marco ama l’aspirapolvere; è il primo oggetto che ha comprato quando, con la ragazza (ora moglie), sono andati a vivere insieme: non c’era neanche il letto in quella casetta vecchia vecchia e stretta stretta tra le viuzze del centro di Cagliari; ci pioveva dentro, in quella casetta, e le bacinelle in camera da letto sono state romantiche protagoniste dei primi mesi autunnali.
Non c’era il letto, non c’era un tetto che facesse, clemente, il suo dovere, ma c’era l’aspirapolvere, che ogni giorno faceva lauti pasti a base di pelo di gatti strabici (Zenzero e Nocciola), di morbidi topolini bianchi  (Louis, Emma e Lizzie), e di cani randagi recuperati tra la neve in tempesta di un bosco invernale (il nostro Capitano Flint).
C’era, dicevo, l’aspirapolvere, che creava raffinati mulinelli di impalpabile polvere nei percorsi di luce di quella casetta un po’ troppo piena.

Perché c’era la luce, in quella casetta.
Non era molta, filtrava dalla finestra sulla via stretta e dalla finestrella che, nel tetto, ritagliava un pezzo di cielo... luce dritta dritta cadente sopra il letto (che, a un certo punto, con grandi festeggiamenti da parte di tutti e sette i piccoli/grandi abitanti, è pomposamente entrato in casa).

La LUCE.
Io, Marco, amo la luce.
La amo e la desidero. La desidero di un desiderio quasi carnale (o spirituale?), perché la voglio toccare, annusare, accarezzare, rivoltare e manipolare.
E, soprattutto, ci voglio giocare.
E, di questo gioco, ho fatto il mio lavoro.
Perché, quando, in quel momento x della vostra vita, che solo voi sapete quale e come sia, mi piazzo davanti a voi, con una macchina fotografica in mano, credendomi in diritto di farvi un ritratto; in quegli istanti quel che io faccio è giocare con la vostra luce, tutta quella luce che, vagabonda e incustodita, circonda e accompagna, assai silenziosa, ogni gesto o respiro.

E io, cosa faccio?
Mi incanto nel farla vorticare in un certo angolo, nel renderla più dolce e mansueta su uno zigomo, più limpida e fresca davanti al vostro respiro; nel ridurla a timida o arrogante, gentile o sferzante, sempre al mio comando.
È questo che io faccio.
Un gioco incantato di luce.

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Marco Ciampelli - Via Carlo Buragna 8 - 09124 Cagliari (CA) - P.IVA 03497050926 - info@marcociampelli.com; 3926240496
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